FAVALLI, LA BANDIERA
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Erminio Favalli ha legato la sua storia a quella del Palermo in modo quasi indissolubile. Solo Cremona, la sua casa e la città dove è nato, è stata più importante della Sicilia per Favalli. Era un ottimo giocatore, e a Palermo si confermò tale, dimostrando grandi doti anche di dirigente e perfino… di allenatore nell’unica volta in cui la squadra fu affidata a lui. Cominciò alla Juventus, e lì rimase per 4 stagioni. Alla fine a soppiantarlo fu un certo Franco Causio. «Veniva dalla Primavera – ricorda Favalli – ma si vedeva che possedeva qualità eccezionali. Io ero un operaio, lui un ingegnere». Presto gli tolse il posto da ala destra che Favalli occupava nella Juve e così Erminio emigrò a Mantova, prima di arrivare a Palermo. Prima di Torino aveva anche giocato a Milano con l’Inter e riuscì anche a vestire la maglia azzurra della nazionale B, segnando perfino. Ha avuto un carattere straordinario, semplice e in grado di districarsi in una città non facile come Palermo. E in campo sapeva ricoprire tutti i ruoli: «Giocai ovunque, tranne che come libero e portiere». Arrivò come ala e divenne un ottimo centrocampista, con una caratteristica: sapeva buttarsi in area anche senza fallo per conquistare qualche insperato rigore. A volerlo fu Ninetto De Grandi, arrivò in Sicilia nella stagione ‘71/’72 a 27 anni. Per sei stagioni fu un imprescindibile punto di riferimento della squadra rosanero. Si esaltava nelle battaglie, divenne capitano, «sapevo far casino al momento giusto» ricorda lui. |
Ad Eriberto Herrera, tecnico della Juventus, che lo allenava, disse chiaramente di andare a quel paese. Herrera gli dette appuntamento in palestra per regolare i conti, ma lui evitò la lite. In un’occasione, con Veneranda esonerato nella stagione ‘80/’81 prese in mano le redini della squadra e batté il Milan 3-1. Poi rifiutò il posto da allenatore che gli era stato offerto, in collaborazione con Zeman, tecnico delle giovanili.
Fu
un idolo, amato dai tifosi, benvoluto dalla critica per la sua grande umanità.
Quando divenne dirigente del Palermo, direttore sportivo negli anni ’80,
era quasi un presidente. Una figura carismatica a cui tutti si rivolgevano
quando c’era da risolvere un problema. Arrivò anche a sborsare denaro di
tasca propria per far fronte alla crisi della società. Pagava i giocatori,
gli alberghi e i conti societari quando ce n’era la necessità. Creditore
della società, ma solo per il grande amore verso Palermo: «A Palermo sono
migliorato come uomo, ho conosciuto persone eccezionali come Barbera
e ho lasciato un pezzo di cuore». Cosa vale, in confronto, il denaro?