L'ATTESA
Un
pomeriggio all'insegna del tentativo di battere la tensione. Alle
16 sono allo studio ma alle 17 scendo per superare lo stato d'ansia
con due ore di svago. Alle 19.15 salgo sulla moto con il mio compagno
d'avventure Giulio, cappellini di lana con i colori sociali e silenzio
scaramantico. La tensione è ormai alle stelle. Ma anche la gioia
è incontenibile. Un atmosfera magica e solo le precedenti delusioni
non ci permettono di cogliere i segnali che preannunciano una grande
serata. All'arrivo allo stadio lo stupore è grande. La fila per
entrare arriva fino al muro!!! Entriamo in circa cinque minuti e
alle 19.55 ci accomodiamo nei nostri posti in uno stadio ancora
non pieno come poi diventerà. Ci sono già i tifosi del Catania che
sono piuttosto agitati e vengono calmati con dei lacrimogeni che
ci hanno fatto piangere per circa 15 minuti. L'attenzione è tutta
rivolta ai supporters rossoblù e cominciano gli sfottò e
il classico "chi non salta è catanese"! Il Cappio, nel
cui destino era già scritta la parte straordinaria che avrebbe recitato,
si volta verso di noi e ci incita a tifare ancor di più. Si arriva
così alle 20.25 con le squadre che fanno il loro ingresso in campo
in una atmosfera da finale di Coppa del Mondo. Gli ultras del Palermo
hanno creato una coreografia straordinaria e c'è spazio anche per
una bella serie di fuochi d'artificio che superano i bordi dell'impianto
e illuminano il cielo di una bella Palermo che già pregusta l'aria
di festa.
LA GIOIA
Calcio
d'inizio. Il Palermo è subito padrone del campo pur non rendendosi
quasi mai veramente pericoloso. Il Catania quando ha la palla al
piede la fa girare bene ma si limita a qualche bordata da fuori
area che non impensierisce il buon Vicè, ieri sera con una straordinaria
maglia rosa. Verso la fine del primo tempo accade quello a cui i
nostri beniamini ci stanno abituando. L'onda rosanero, incessante
e continua per tutta la prima mezz'ora, diventa un maremoto, una
forza impetuosa che spazza senza pietà tutto ciò che incontra sulla
sua strada. Nel giro di 10 minuti travolge, piega, abbatte gli avversari
e sospinta ancor di più dall'entusiasmo dei suoi tifosi diventa
un maremoto a cui il Catania non ha i mezzi per resistere. La Grotteria
(picchiato selvaggiamente!) stoppa di petto al limite dell'area,
si gira, si infila in mezzo a due avversari, viene toccato e poi
si tuffa con un balzo degno del miglior Louganis ingannando arbitro
e televisione e conquistando un rigore che sa già di trionfo. La
palla viene presa dal Professore di balistica e calcio applicato,
dall'uomo che non butta un pallone, dall'eroe di Roma e delle due
Sicilie, dal figlio prediletto del sor Carletto. Massimiliano Cappioli
(famoso anche per le sue storie con famosi attrici come Alba Parietti
e, anche per questo, idolo assoluto del sottoscritto!) prende il
pallone, se lo coccola, lo porta via dagli avversari che vorrebbero
mettergli tensione. Poi con calma lo deposita sul dischetto e, al
fischio dell'arbitro, lascia partire un destro secco e rasoterra
che accarezza il palo alla destra di Zancopè e si infila indisturbato
in rete. Uno a zero. Quasi piango per l'emozione. In televisione
vedrò poi che il Cappio esulta in maniera straordinaria, levandosi
la maglia e correndo per tutto l'anello, rimediando così una ammonizione.
Ma non finisce qui, l'orda dei rosanero non è ancora paga. Sulla
sinistra palla a Bombardini, cross al centro, "Pruzzo"
Belmonte salta di testa, traversa, arriva La Grotteria e mette dentro.
2 a 0. Gioia incontenibile, catanesi al tappeto, cuore in subbuglio,
emozione alle stelle.
LA PAURA
C'è
anche questa nella partita perfetta. E si fa sentire già alla fine
del primo tempo, quando una palla persa da Belmonte a centrocampo
innesca un contropiede dei catanesi che il monumentale Giampietro
(ieri sera una partita assurda!!!) stronca con un fallo al limite
dell'area. Tiro, palo!!! Con Sicignano che forse ci sarebbe arrivato.
Ma non c'è tempo per pensarci. Pericolo scampato. Fine primo tempo.
Come sempre nel secondo tempo, il Palermo si addormenta. Vuole gestire
la partita, non morde, non pressa. E il Catania prende coraggio.
Il Cappio incita i compagni, li sprona, ma una mano invisibile li
blocca, li addormenta, li impaurisce. Entra Cicconi, aveva promesso
il gol dell'ex, lo realizza. Un movimento sbagliato, una marcatura
che non scala, palla a spiovere in area e girata vincente, 2 a 1.
I catanesi riprendono fiato, la Favorita ammutolisce, la paura è
entrata nei nostri cuori. Eccola qui l'ennesima delusione, l'ennesima
festa rovinata, non ce la faremo a tenere fino alla fine.
IL
TRIPUDIO
Ma
la paura passa se c'è l'eroe sul cavallo bianco che viene a salvarti.
E ieri sera, lasciata a casa la scimmietta di Bombardini che ha
visto la partita in tv, si vede che l'animale scelto per accompagnare
i rosa sarà stato proprio uno di quei bei cavalli delle favola.
Ecco infatti che il Cappio scuote la squadra, la sospinge, e quando
Belmonte subisce l'ennesimo fallo vicino all'area dei catanesi non
ci pensa due volte. Prende la palla, la sistema bene, attende il
piazzamento della barriera e tira una saetta che si incrocia a 100
all'ora sotto l'incrocio dei pali dell'incolpevole Zancopè che può
solo maledire il fatto di essersi trovato davanti un giocatore che
in serie C non dovrebbe giocarci nemmeno per scherzo, nemmeno per
beneficenza. 3 a 1. Sapevo che il Cappio avrebbe segnato su punizione
e così è stato. La festa comincia. Ed è una festa lunga perchè la
partita era stata anche sospesa perchè altri lacrimogeni erano finiti
in campo facendo piangere i giocatori e un razzo dei catanesi aveva
colpito uno dei loro giocatori. Ma mancava ancora un invitato alla
festa di ieri. Si è presentato in ritardo ma si è fatto perdonare
con una doppietta in regalo. Firmino Elia prende il posto di La
Grotteria che esce acciaccato per i troppi falli subiti e ci regala
un uno-due il cui primo atto è di rara bellezza. Ancora Cappioli
sulla palla per una punizione sulla sinistra. Palla bassa e veloce
per Bombardini, cross al centro. Elia vola in alto come sollevato
dalla mano della Santuzza, anticipa tutti e mette dentro. 4 a 1.
Catanesi ammutoliti, impietriti. La gradinata comincia a cantare
"Tutti in ritiro" ai giocatori del Catania e tutti cerchiamo
di immaginarci la faccia di Gaucci in quel momento. Ma l'umiliazione
non finisce qui. Ancora il Palermo devastante in contropiede. Palla
ad Elia, che dà a Bombardini e si presenta davanti a Zancopè, lo
salta, viene accerchiato dagli avversari vede Elia e lo serve. 5
a 1. I catanesi protestano per un fuorigioco. Forse c'era, viene
espulso uno dei loro. E' una disfatta. E' un trionfo. Festa finale,
mi commuovo, ci sei anche tu, ti aspettiamo e il campionato senza
di te non lo possiamo vincere. Domenica c'è il Savoia, poi L'Aquila,
ci giochiamo il campionato, ma stasera chi se ne frega. Si va a
casa ubriachi di felicità, forse più che per Palermo-Parma (qui
abbiamo stracciato i cugini). Per tutto il tragitto cantiamo a squarciagola
quel motivetto che abbiamo cantato per quasi tutto il 2° tempo e
che fa: "E se ne va, la capolista se ne va!" e con il
quale abbiamo schernito per oltre un'ora i tifosi del Catnia che
ora si trova a -8 e per i quali la capolista se ne va proprio. E'
festa grande, è la nostra festa, di chi ci ha creduto, di chi ha
sofferto, di chi ci è andato anche quando sarebbe stato meglio stare
a casa. E' la festa di chi è rosanero nel cuore e lo sarà sempre,
da Palermo a New York, da Buenos Aires ad Aberdeen. Canto e non
ci posso credere, col mio cappello in testa, il mio compagno di
avventure vicino, mia sorella nel cuore, la mia vita in tasca e
con la certezza che resterà uno dei giorni più belli della mia vita.
Povera
realtà, tapina vita diurna, ennesimamente sbeffeggiata al calar
della notte. Notte magica, iniziata al crepuscolo, fine fioca d'un
giorno feriale pigro come il traffico del lunedì, lì dietro sulla
sella, a bordo dell'R80 tipo Afrika Korps color turchese di un amico.
Smetto, come vuole la sacra usualità del rito rosanero, le vesti
di - presunto - giornalista, e vado. Tapina realtà, ti lascio per
90 minuti, ma ti voglio bene lo stesso. Ci vediamo domani. Adesso
scusami, l'olocausto è di quelli ghiotti, l'agnellino da scannare
è rossazzurro, i sacerdoti addobbati di splendide pianete nererosa,
il custode dell'arca quadrangolare - inviolabile, sacra, reticolata,
la chiamano porta - veste di fulgente rosa. Nome di battaglia, Vicè.
Il pontefice massimo è silente sulla panca, occhi socchiusi, zeppo
fino alla punta del bergamasco baffo, del certo vaticinio della
vittoria. Lo chiamano Giuliano. Stirpe dei Vincentes. Ovvio, si
va in curva, peccato che il sorsino di whisky non sia di puro malto,
ma fa nulla. Ci si ubriaca di risa e gioia pura. Goduria e palpito.
Primevo, infantile coito con il prato verde. Macché tribuna, macché
tutto. Sull'R80 Bmw calzo un cappellaccio cornuto a cilindro modello
Halloween, è enorme, rosanero e ondeggiante. Regalo da Londra. Ciao,
casco, per stasera. Gli automobilisti guardano solo il culo della
macchina di fronte, passo inosservato, tra le grinfie della noblesse
volgare del palermitano imbottigliato nel traffico. Ciao, scemi,
chi se ne frega, buone pantofole a tutti. Catturo soltanto lo sguardo
di un bimbetto down, mentre la mamma guida la Cinquecento. Ragazzi,
un sorriso da spaccarmi l'anima contenta. Indica il cappellaccio.
Tiro fuori la lingua. Lui pure. Ciao, amico, te lo regalerei, il
cappello, poi giochiamo a Subbuteo, piccolo mio.
"Umiliamoli!" Urlo quelle sillabe a squarciagola, dieci, cento volte.
Attorno, sorridono. E i sacerdoti, in campo, mi ascoltano ed eseguono.
Spietati. Cinque sberle del Dio di giustizia. E' un gioco, cattivo
e di stomaco come tutti i giochi veri. Come il calcio. Ci abbracciamo
all'infinito, mentre piovono rubinetti e schegge di porcellana da
cesso dozzinale, fumogeni e pietrazze. Loro, i catanesi, stanno
dieci metri sotto. Tirano di tutto. Il loro cuore si ferma cinque
- dolcissime - volte. Una bambina, dietro, si porta le mani sulla
fronte spaccata. La portano fuori. Bimba, torna qui, vedrai che
il pallone, il derby, sono un'altra cosa.
Te lo giuro. La partita non ve la dico. Il mio cuore è già fiume
spaccato senza argini.
di
Salvatore Ferro
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