Lacrime & risate

Scopro la notizia su Internet, martedì, al rientro dalle scampagnata del primo maggio. Il Palermo esonera Sonzogni e ingaggia Sella.

Sella?

Zot! Come un fulmine a ciel sereno, un flash mi porta indietro nel tempo: immagini sbiadite, parole lontane mi fanno ricordare… ricordare…ricordare...

Ma cosa?!?

Ripercorriamo la vicenda tragicomica del Palermo Calcio, l'ennesima: dalle stelle alle stalle con un allenatore esonerato a due giornate dalle fine e un campionato che, in fin dei conti, si può ancora vincere; il nuovo mister che arriva da Roma e dalla Roma, Sella; un presidente (Sensi) che nella capitale si appresta a portare lo scudetto con i giallorossi ma che a Palermo fa e disfà come (ne più, ne meno) nelle passate gestioni.

Adesso pensate al film cult (per me) "L'allenatore nel pallone" e ad un improvvisato mister come Oronzo Canà, al secolo Lino Banfi, che viene scelto dalla Longobarda per le sue teorie calcistiche e tecniche... «Canà, lei deve perdere lo scontro dell'ultima giornata - dice il presidente al mister - e la riconfermo per tre anni».

Canà, contro i voleri della società, vinse. La Longobarda rimase in serie A e lui perse il posto.

Che c'entra tutto questo col Palermo?

Il mister che voleva "picchiare De Sisti e rompergli la noce del capocollo", allenava anche Sella (un portiere) e Cavallo, attaccante.

Un consiglio al patron Sensi e al suo alter ego "rosanero", Sergio D'Antoni: al Palermo mancano un paio di altri acquisti per "perdere il campionato": Margheritoni (Andrea Roncato, attaccante farfallone) e Aristoteles, il brasiliano triste della Longobarda, al quale Oronzo cantava ogni sera la "ninna nanna" per farlo addormentare, "...sperando di segnar. Magar..."

Wladimir Pantaleone


Tutti cantano ai funerali. Dal coro all'altare, alla platea uggiosa o lacrimante, fino alle ultime file gongolanti. Canta il beccaccino a fior di labbra, mentre scazzuola il tumulo, fischietta languore il convitato all'esequia, sulla via di casa. Sillaba perfino il morto, cui bisogna infardellare i muscoli impetuosi di libertà. Abbasso il giornalismo. Per una volta, per sempre, fin tanto che ceneri saranno sparse sul destino palermitano di Giuliano Sonzogni, de profundis calcistico fra i più strani e padronali della pedata mondiale. Fin tanto che il sottoscritto sarà impelagato nell'elegia del baffuto incompreso, ben oltre la valutazione della giustezza tecnica della scelta dell'esonero (Sella, chapeau). Una cannonata allo stomaco, seconda solo ai tuoni di Jesus Gil e alle scorregge di Luciano Gaucci. C'è chi, anche fuori del cono d'ombra della torre e del sereno countryside marchigiano, rimpiange l'Anconetani-style e il Rozzi-pensiero. Padroni si nasce. Baffuti si diventa. Lo presentivo, c'è oblio anche nei miei pensieri. Mi annebbia il palpito dell'ultima giornata, mentre qui, al di là delle acque rotte dell'Atlantico, amo il Palermo come il prossimo mio. Più che mai. Ebbene, quali le colpe?

Aver sperperato otto perle di vantaggio sul Messina dello starnazzante Aliotta - oh, Romeo... ancora lei, la nostalgia canaglia per Anconetani - cui è augurabile, per lo stile, la misura, la sportività dimostrate, l'accesso ai play off a condizione di beccare sei gol nella finale con il Catania del pari gentleman Gaucci. Ancora, aver schierato un insolito 4-5-1 per alzare argini sul deretano esposto al gelo di un vistoso calo mentale e tecnico dell'intiera combriccola rosanero. Di più: aver preso a calci nel suddetto deretano un centravanti finto come La Grotteria, incolpevolmente dato in pasto alla folla come l'uomo della pioggia di gol. E ce n'è per altri palati: aver preteso per otto mesi un vero centravanti. Che non sa scegliere la cravatta, che è più pieno di grane di Maradona. Ma che la palla, se fai i cross, te la fa arrivare in porta sgonfia. Tuttavia, avevo annunciato la rinuncia a valutazioni tecniche. Pardon. Oblio rischiava di avvolgere la colpa più grave: non essere gradito a Sensi, portafoglio munifico e cuore appassionato. Sonzogni, che pezz'i core non lo è stato mai, ci ha insegnato alcune, trascurabilissime, cose. Senza mai sbraitarle
- che il 96 per cento dei tenutari di microfoni o taccuini che lo attorniavano, lui come tutti i protagonisti dell'italico calcio, erano e sono assolutamente deficienti;
- che non è un reato non essere capaci, o non aver voglia, di manifestare commercialmente i propri sentimenti;
- che è giusto andare a cena solo con chi ti garba davvero;
- che puoi essere pure un fottuto orso grigio che non rivolge la parola nemmeno a sua madre, perché credi sia più importante dimostrare di saper leggere le partite. Di saper far sudare la gente e schierare i più in palla.

Or non è guari, tale Carlo Ancelotti (tecnico della nuova ondata, quella che non torna mai sazia di vittorie sull'arenile e porta a casa, quanto a titoli, solo quelli spernacchianti dei giornali) gonfiò il pupazzo Fonseca anziché mandare in campo BisonteKovacevic. Sonzogni sostituiva La Grotteria. Embé? Il sentimento, ora e contro tutto e tutti, è la tenerezza mista a rispetto, per questo bergamasco mai infido e poco sorridente, certamente incapace di vendere la propria immagine. Ma che volete farci, sono cose che capitano a chi, prima d'uno specchio, ha una faccia. A chi preferisce il rispetto al timore. A chi si difende scoprendo il fianco al riso ebete dei cretini. Ai pazzi. Ai baffuti. A quelli che si rovinano - non me lo fare, Giuliano - solo se lasciano entrare sotto l'uscio da cui sgorga una piccola lacrima d'amore e amor proprio ferito, quella che ha rigato il viso di Sonzogni nell'ultimo istante, l'alluvione della malinconia. Se mai mi leggerai, baffuto, ascoltami bene: sorridi e sbattitene. O viceversa. Bastava cacciarti via prima, anche prima che ti avviassi all'ultimo allenamento, per averti amico. Non ci hanno pensato. Scusali. E amaci, se puoi.

Salvatore Ferro